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Lecce: Teatro Koreja. In scena Il Figlio della Tempesta

 Una vita in carcere, senza essere un detenuto, favorendo l’apertura di spazi di cultura e libertà mentale infiniti e portando il Teatro a livelli di eccellenza con attori non professionisti. Questa potrebbe essere, in estrema sintesi, la biografia del regista Armando Punzo, fondatore della storica Compagnia della Fortezza di Volterra – la prima nata in un carcere nel 1988 e divenuta una delle realtà più importanti della scena di ricerca – cui è stato assegnato il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Teatro 2023. Un premio che si aggiunge agli otto Premi UBU e agli altri innumerevoli e prestigiosi riconoscimenti ricevuti.

In trentacinque anni di attività la compagnia ha prodotto oltre quaranta spettacoli, che hanno debuttato all’interno del Carcere di Volterra, per poi svolgere importanti tournée al di fuori dell’ambito penitenziario.

Sabato 2 dicembre 2023 alle ore 20.45 Koreja ospita IL FIGLIO DELLA TEMPESTA, lo straordinario concerto spettacolo, nato nel 2018 in occasione dei trent’anni della Compagnia della Fortezza. In scena una nuova edizione arricchita e completata dalle immagini e dalle musiche degli ultimi spettacoli. Il Figlio della Tempesta è un susseguirsi incalzante di musiche, parole e immagini in un allestimento speciale pensato come un affascinante viaggio nella storia della Compagnia.

Una rete fatta di parole, presenze e musica nella quale Punzo e Salvadori vanno al cuore della ricerca musicale e performativa, creando un progetto speciale, che porta in scena l’indissolubile rapporto tra parole e suono che si crea ogni volta che uno dei più eclettici compositori per la scena e uno dei registi più visionari lavorano insieme. Ma, soprattutto, quando le parole e le visioni artistiche si concretizzano nei corpi degli attori.

Punzo, nel corso di questi anni, ha sempre precisato di non essere entrato in carcere per finalità sociali o di recupero, ma per il teatro.

“il mio teatro in carcere è soprattutto arte. Esistono altre realtà e altre esperienze che invece individuano nel teatro uno strumento al servizio della rieducazione.

Ecco, detto in generale, questa idea del teatro al servizio di altro scopo proprio non mi convince […] L’atto artistico è contraddittorio, deve essere libero, non può essere vincolato a un fine, perché altrimenti si perde il senso di cosa sia l’arte, ovvero un viaggio di conoscenza […] Quindi l’arte deve essere un percorso di scoperta e di conoscenza prima di tutto per l’artista e in secondo luogo per il pubblico che eventualmente ne fruisce. L’idea del teatro come strumento di rieducazione rappresenta a mio avviso uno svilimento del teatro stesso; nel mio caso, quindi, rappresenterebbe una detrazione radicale dell’identità prima del mio progettare, perché non sono entrato a lavorare in carcere per questi motivi. Non ho mai vissuto l’esperienza della Fortezza accompagnato dall’idea di poter salvare qualcuno; se avessi dovuto salvare qualcuno, avrei dovuto salvare prima di ogni altro me stesso! Sono entrato in carcere mosso da ben altre ragioni, in primis dall’idea che il Teatro andasse rifondato mettendolo alla prova in un luogo difficile. Più nello specifico pensavo a come fare reagire massima chiusura e massima apertura insieme: la massima chiusura è rappresentata naturalmente dal carcere, mentre la massima apertura è il teatro, che credo personifichi lo spazio di maggior libertà in assoluto, ed è geneticamente, fisiologicamente così “

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